domenica 12 ottobre 2025

Stato di confronto

archilabmilano e RIBOT gallery presentano Stato di confronto, una mostra di Stefano Comensoli_Nicolò Colciago appositamente pensata per gli spazi di via Sacchi 4 a Milano.

Cornice del progetto espositivo è il cantiere di un appartamento in corso di ristrutturazione affidato allo studio archilabmilano. L’idea di utilizzare una simile ambientazione come spazio espositivo nasce dal desiderio di far dialogare due processi — quello architettonico e quello artistico — che condividono una radice comune ma si sviluppano secondo logiche differenti.

La mostra propone una riflessione attorno all’idea di cantiere inteso come campo fisico e metaforico, come luogo capace di ospitare simultaneamente immagini del tempo e della memoria, ma anche come dimensione che stimola nuove visioni sull’architettura. Il cantiere è simbolo della transitorietà di tutte le cose. È una dimensione fragile. Il cantiere scompare e non lascia traccia. In chiave romantica potrebbe rappresentare la rovina intesa come mappatura del futuro attraverso l’immagine del passato. La sua natura provvisoria assume un significato preciso proprio perché non ha ancora acquisito una forma definitiva: è un momento che non necessariamente deve farci interrogare sulla futura funzione dello spazio o sul destino che inevitabilmente lo porterà a diventare nuovamente una rovina o ancora un cantiere.

Secondo l'artista Robert Smithson “un edificio in costruzione non è esattamente un edificio in procinto di diventare una rovina, ma una rovina al contrario”. Questa teoria inverte la temporalità propria della concezione romantica e si concentra sull’incompiutezza come processo che caratterizza l’opera nella sua fase originaria. Non oppone distruzione e costruzione, ma si sofferma sull’istante in cui entrambe le componenti coesistono. In gergo tecnico, questo momento è definito “stato di confronto”.

A partire da questi presupposti, le opere di SC_NC presentate in mostra attivano un dialogo critico sia con il contesto, sia con i processi metaforici e temporali che lo attraversano, tramite lavori realizzati con il recupero di materiali provenienti da rovine contemporanee. L’indagine sull’origine è ben espressa nella serie Visioni di un oltre. Le opere sono porzioni di pavimenti in linoleum prelevati da edifici in stato di abbandono accuratamente trattati, intagliati e fissati su appositi supporti verticali. Il fronte dell’opera visibile al pubblico non è costituito da quella che era la parte calpestabile del pavimento ma dal suo rovescio, composto da residui di cemento e di colla al tempo utili all’applicazione del linoleum a terra. L’atto della posa avvenuto in fase di cantiere ci riporta idealmente all’origine di questi edifici e si riconnette all’azione di una gestualità anonima avvenuta in quell’istante. Lo stato di rovina dei luoghi è invece riletto nella serie Fiori fuori posto, esposta al secondo piano. In questi lavori l’intervento dell’incisione laser su fotografie scattate in scenari differenti e su elementi ritrovati disarticola la percezione, smonta l’ordine spaziale e temporale e sottrae la nuova rappresentazione dall’originario contesto di riferimento. Un contesto che trova la sua unica e completa forma di visibilità nel video Space in Mirror Is Closer Than It Appears (episode 03) in cui attraverso un’azione di cura all’interno di un luogo abbandonato gli artisti realizzano un’installazione soggetta ai mutamenti e alla sorte del luogo stesso.

Il lessico del cantiere, inteso come luogo del manifestarsi di infinite possibilità è richiamato anche nell’allestimento. Se da un lato la disposizione di alcune sculture in spazi raccolti richiama l’intimità di un ornamento domestico, dall’altro, il distacco di certe opere dalla parete suggerisce le molteplici traiettorie della costruzione e della distruzione sospese in un unico istante.


STEFANO COMENSOLI_NICOLÒ COLCIAGO

Stato di confronto

a cura di Stefano Setti e Maria Villa

16-19 ottobre 2025

Via Sacchi 4 – Milano

Inaugurazione giovedì 16 ottobre dalle ore 18.00

Saranno presenti gli artisti.

Progetto promosso da archilabmilano e RIBOT gallery

Orari di visita:

ven 17  - sab 18 - dom 19 ottobre su appuntamento

T. +39 3470509323 | T. +39 3485107480

venerdì 26 settembre 2025

Landandart – andar per arte

Sabato 4 ottobre 2025 prende il via il terzo atto del progetto Landandart – andar per arte, creato e curato dall’Associazione culturale VIA, con l’obiettivo di valorizzare il territorio del Monregalese in Piemonte attraverso i diversi linguaggi artistici contemporanei, con il coinvolgimento di attori locali, nazionali e internazionali.

Dopo gli artisti Emilio Ferro e Giovanni Ozzola, è la volta di Antonio Capaccio, che interviene nella maestosa nicchia ornata di stucchi che sovrasta l’altare della Ex Confraternita dei Battuti a Vicoforte

Santuario di Vicoforte_ph Roberto Conte

Grazie all’Associazione VIA, il vuoto della nicchia sarà colmato da un’opera site specific di Antonio Capaccio, di cui l’artista non ha voluto diffondere né immagini, né titolo. Nell’era delle immagini, dove tutto circola e dove tutto si svela con un click, questa volta le regole vengono sovvertite. Chi sarà presente all’inaugurazione vivrà l’emozione diretta di conoscere il lavoro dell’artista senza la mediazione di nessun mezzo di comunicazione che ne rovini la sorpresa. Si arriverà davanti alla nicchia che sovrasta l’altare della Ex Confraternita completamente disarmati, senza gli attrezzi offerti da commenti preventivi da parte di nessuno, perché nessuno saprà nulla fino a quel momento. Ognuno proverà di fronte all’opera sensazioni personali, autentiche, differenti, non condizionate da informazioni esterne. 

GLI INTERVENTI DEL 2024

L’Associazione Via accompagnerà il pubblico alla visita di altre due opere site-specific installate nel 2024.Miracle, dell’artista Emilio Ferro, un intervento permanente ideato per la Cappella di San Rocco situata lungo la via che porta al celebre Santuario di Vicoforte. L’opera si compone di una struttura metallica di luce di oltre 18 metri che attraversa lo spazio della cappella, indicando la via verso il Santuario, e di una registrazione sonora, creata dall’artista grazie al mescolamento delle vibrazioni dei campi magnetici della cappella e del Santuario, insieme con campioni di suoni provenienti dal paesaggio circostante.E ancora Atto unico - campane di Giovanni Ozzola, composto da cinque campane in ceramica, che inizialmente interagivano con lo spazio pubblico immerso nel verde lungo la passeggiata del Bosco della Nova a Mondovì e che, in occasione del terzo atto, verranno ricollocate nei pressi della Cappella di San Rocco. L’artista ha scelto di lavorare con l’argilla, che grazie alla sua origine e alla sua fragilità si carica di un concetto di ciclicità e di rinascita, connesso con i ritmi della natura e quindi con l’essere umano. Ogni campana testimonia col proprio suono una presenza individuale e, unendosi ai rintocchi delle altre, crea un insieme, invitando a riflettere su concetti come esistenza, origine e destino. 

L’ALTRA LANGA

Il Monregalese, in provincia di Cuneo, è quell’area compresa tra le Langhe, le vallate delle Alpi Marittime e la Liguria, racchiusa tra montagne, colline e pianura, non lontano dal mare. Un’“altra Langa”, quella più nascosta e più selvatica, dove spiccano Mondovì e Vicoforte e dove l’Associazione culturale VIA ha voluto dare vita a Landandart, mettendo al centro l’Arte, declinata nelle sue molteplici espressioni, e il Paesaggio, inteso sia come insieme di luoghi in cui scoprire beni architettonici da valorizzare e da promuovere, sia come elemento naturale da esplorare attraverso sport all’aria aperta. Grazie ad un progetto pluriennale di interventi artistici programmati e creati per le architetture rurali, il linguaggio della contemporaneità dialoga con il linguaggio antico, quasi arcaico di tradizioni contadine, pellegrinaggi e leggende. Il focus dell’intervento di quest’anno è la Ex Confraternita dei Battuti a Vicoforte, in particolare la grande nicchia settecentesca che sovrasta l’altare. Un tempo ospitava quella che per molti decenni si era ritenuta una “classica” pala d’altare. Poi, a seguito di un restauro, si scoprì che risultavano dipinti entrambi i lati e che quindi si trattava di uno stendardo processionale di notevole interesse adattato per quello spazio. Da molto tempo questo stendardo è stato rimosso, restaurato, e ora è conservato nella Sala Consiliare del Comune di Vicoforte. Su questo manufatto il Comune di Vicoforte offre una descrizione dettagliata dell’opera e del restauro.

Landandart – andar per arte

presenta

Antonio Capaccio Ex 

Confraternita dei Battuti

Vicoforte (Cuneo) 

EVENTO INAUGURALE 4 OTTOBRE 2025 

PROGRAMMA 

15:00 -16:00 Visita guidata del Santuario di Vicoforte 

ISCRIVITI ALLA VISITA GUIDATA A NUMERO CHIUSO 

16:15-16:30 Passeggiata lungo via San Rocco dal Santuario di Vicoforte

16:30-17:15 Visita della Cappella di San Rocco e delle installazioni Miracle di Emilio Ferro e Atto Unico-Campane di Giovanni Ozzola

17:15-17:30 Passeggiata verso la Ex Confraternita dei Battuti in via Roma

17:30-18:15 Inaugurazione dell’installazione di Antonio Capaccio

18:15-18:30 Passeggiata verso la Cappella di San Rocco

18:30-20:00 Musica e rinfresco nel campo Dietro San Rocco 

ISCRIVITI ALL’EVENTO INAUGURALE 

www.associazionevia.org

www.landandart.it


Maria Chiara Salvanelli | Press Office & CommunicationMaria Chiara Salvanelli mariachiara@salvanelli.it | + 39 3334580190

domenica 14 settembre 2025

Avere vent’anni: ritratto autoritratto

 Venerdì 19 settembre alle ore 18.30 verrà inaugurata presso lo Spazio Gerra di Reggio Emilia la mostra “Avere vent’anni: ritratto autoritratto” del fotografo Enzo Sbarra (Napoli, 1953) a cura di Marcello Tedesco.

L'esposizione si svolge nell’ambito della settimana della Salute Mentale 2025, promossa dal Dipartimento ad attività integrata Salute Mentale e Dipendenze Patologiche Reggio Emilia dell’Azienda USL IRCCS, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura e Giovani del Comune di Reggio Emilia e il coinvolgimento dell’Associazione Sostegno&Zucchero.

Il progetto nasce all’interno del Dipartimento di Salute Mentale di Reggio Emilia quando gli operatori impegnati nel servizio hanno osservato come negli ultimi anni il disagio giovanile fosse in forte crescita e come risultasse urgente testimoniare tale fenomeno, unitamente a una narrazione significativa di questa generazione.

L’azienda AUSL si è dunque coraggiosamente aperta allo sguardo di un artista, capace di vivere per diversi mesi a contatto con la complessità del disagio giovanile, instaurando a sua volta un rapporto stretto e inedito con i protagonisti di queste opere, permettendo la creazione di questa straordinaria serie di venti ritratti. La peculiare capacità di Enzo Sbarra di modularsi alla realtà osservata e amata ha reso possibile non solo di fare emergere quanto solitamente è nascosto, ma anche di creare un dispositivo dove l’immagine fotografica diventa specchio all’interno del quale ognuno di noi può riflettersi. Il dato significativo è che sono proprio i volti di questi soggetti a rivelare in modo inequivocabile una realtà troppe volte dimenticata o negletta.

Il progetto è ulteriormente arricchito dai testi che ogni protagonista ha fornito di sé, accompagnando, e per certi versi amplificando, le immagini di Enzo Sbarra. Questo aspetto di scambio e intersecazione con l’altro è una caratteristica fondante dell’operare dell’artista nel corso di cinquant’anni di lavoro.

La mostra è stata precedentemente presentata nel Circuito OFF del festival Fotografia Europea tenutasi lo scorso aprile a Reggio Emilia.

All’inaugurazione della mostra saranno presenti oltre all’artista, l’Assessore alla Cultura di Reggio Emilia Marco Mietto, la Dottoressa Francesca Fontana, Psichiatra, Direttore Dipartimento ad attività integrata Salute Mentale e Dipendenze Patologiche Area Reggio, DAISMDP, AUSL-IRCCS di Reggio Emilia,  Marco Curti (Presidente Associazione Sostegno&Zucchero) Maria Palladino e Sonia Leurini (ideatrici del progetto) e Marcello Tedesco (curatore della mostra).


 

Avere Vent’anni: ritratto autoritratto

Una mostra di Enzo Sbarra

A cura di Marcello Tedesco

Organizzata dal Dipartimento ad attività integrata Salute Mentale e Dipendenze Patologiche Area Reggio

Con il Patrocinio del Comune di Reggio Emilia e dell’Associazione Sostegno&Zucchero.

Inaugurazione venerdì 19 settembre ore 18.30


Dal 19 al 28 settembre 2025.

Aperto dal venerdì alla domenica dalle ore 10:00 alle ore 13:00 e dalle 15:00 alle 19:30

Infrasettimanale su appuntamento

+39 0522 456786

stefania.carretti@comune.re.it

Piazza XXV Aprile 2, Reggio Emilia

sabato 6 settembre 2025

Prampolini Burri. Della Materia - Comunicato stampa

La Collezione Giancarlo e Danna Olgiati apre la stagione autunnale con la mostra “Prampolini Burri. Della Materia”. Attraverso una ricerca che percorre l’intero ’900 italiano, il progetto espositivo pone un focus sull’uso di materiale eccentrico rispetto al medium tradizionale della pittura. Protagonisti di questa linea continua di sperimentazione sulle materie dell’arte sono Enrico Prampolini (Modena, 1894 – Roma, 1956) e Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), entrambi attivi a Roma. 

Le ricerche sulla materia nelle sue molteplici modalità espressive sono indagate nella mostra alla Collezione Olgiati attraverso circa 50 capolavori provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private internazionali. Dalle opere futuriste e polimateriche di Prampolini a quelle potenti di Burri, il percorso mette in luce come il ricorso alla materia abbia saputo dar voce alle inquietudini di un periodo storico complesso, manifestandone tutta la violenza e la carica trasgressiva. Prampolini – futurista eclettico e a contatto con le più importanti avanguardie europee – sperimenta precocemente, già nel 1914, le potenzialità del polimaterismo; Burri, che rappresenta nella mostra la seconda metà del XX secolo, è stato invece fondamentale nel proporre la materia nella chiave poetica più radicale. “Le vie intraprese da Prampolini e Burri, con traiettorie e significati concettualmente diversi, mostrano strade possibili, certo non le uniche, ma sicuramente le più rischiose, quelle che rinunciando alla pittura intesa come puro medium di secolare tradizione, si affidano a tutt’altro, ritagliare e incollare, scavare nelle terre, utilizzare plastiche, sacchi, muffe e bruciare, aggiungere oggetti, e molto altro ancora. Una rivoluzione linguistica che diverrà, come è noto, nell’opera di Burri, norma e stile internazionale, con un primato europeo su cui vale la pena riflettere”, spiegano la curatrice Gabriella Belli e il curatore Bruno Corà. La mostra “Prampolini Burri. Della Materia” è parte di un trittico espositivo promosso da Danna e Giancarlo Olgiati e dedicato a confronti esemplari tra alcuni dei massimi protagonisti del Novecento e che già ha documentato la straordinaria contiguità tra Balla e Dorazio (2023) e la consonanza di poetica tra Yves Klein e Arman (2024).



La mostra L’indagine sulle due distinte, ma dominanti visioni della materia di Prampolini e Burri, si dipana alla Collezione Olgiati in uno spazio espositivo radicale, concepito per l’occasione da Mario Botta in due momenti successivi e separati. Scelte cromatiche opposte scandiscono il percorso della mostra, che si apre con le opere di Prampolini, allestite su pareti bianche, e prosegue con i lavori di Burri, che si impongono su pareti completamente nere. Attivo nel campo della pittura e, tra l’altro, della scenografia, dell’architettura e delle arti applicate, Prampolini aderisce al Futurismo nel 1912, declinandone però i principi in una sperimentazione totalmente autonoma e di respiro europeo. Se negli anni Venti la complessa produzione prampoliniana tende verso l’arte meccanica, come evidente, in mostra, in capolavori come Paesaggio caprese (o vesuviano), 1922 circa, è con Intervista con la materia del 1930 che si apre la fase più sentitamente visionaria e cosmica della sua produzione. Nel dipinto – un vero e proprio manifesto – i materiali più diversi, spugna, sughero, galalite, limitano sempre di più lo spazio, prima dominato dalla pittura. È una disobbedienza alle tecniche tradizionali che l’artista anticipa già diversi anni prima, nel 1914, in una raffinata sperimentazione, Béguinage, assemblaggio polimaterico anch’esso presente in mostra a Lugano. Sono diversi i capolavori presentati alla Collezione Olgiati dalla serie dei celebri quadri polimaterici degli anni Trenta di Prampolini. Metamorfosi inedite delle forme si aprono in opere come Venere meccanica, 1930, o il magnifico Geometria aerodinamica, 1934-1935, mentre Forme forze nello spazio del 1932 è una potente raffigurazione di mondi alieni dominati dalla geometria tra nuove forze psichiche di forme organiche; e, ancora, i famosi polimaterici degli anni Trenta – inizio Quaranta, come l’Automatismo polimaterico F del 1941. Sono lavori, questi, che scaturiscono da un fertile humus di contatti internazionali, tessuti dall’artista a Parigi fin dagli anni Venti tra movimenti diversi, come il Surrealismo e i pittori astratti-concreti, a lui più affini, quando aderisce al gruppo parigino di Cercle et Carré.“Come Prampolini abbia saputo districarsi tra queste due correnti, per farne sintesi in una convergenza stilistica e di senso, capace di unire aspetti dell’una e dell’altra, è il dato significativo di questa nuova fase del suo lavoro, che porta il sigillo di una internazionalità preziosa per la sua carriera, ma anche per il parterre della pittura italiana del tempo”, sottolinea la curatrice Gabriella Belli. Agli anni Cinquanta datano gli ultimi quadri polimaterici in mostra a Lugano, come Composizione astratta CR, 1954, dello stesso anno il capolavoro Tensioni astratte, per finire con la Composizione S 6: zolfo e cobalto del 1955: opere che testimoniano come, grazie alla continua evoluzione di forme e modi in ascolto con i tempi, Prampolini si sia rivelato un punto di riferimento per molti pittori che si affacciavano all’arte alla fine degli anni Quaranta.


Le concezioni intuitive di Burri in fatto di utilizzo della materia sono lontane dalle teorizzazioni di Prampolini. All’indomani del secondo conflitto mondiale vissuto in prima persona come ufficiale medico, prigioniero in Africa e poi a Hereford in Texas, divenuto artista autodidatta intraprende la ricerca di un linguaggio nuovo. Dopo un breve esordio nel figurativismo, a partire dal 1948, Burri decide di ricavare qualità pittorica dal gesto di presentazione della materia, svuotandola di ogni possibile metafora. È una materia umile e cruda, che arriva a sostituirsi al colore, quella di Burri; una materia in cui egli sembra ricercare lo stesso atto artistico inesauribile, un grado nuovo della forma e della bellezza. “L’attitudine alla sfida, all’imprevisto, all’analisi, la tensione etica, l’inclinazione alla facoltà compositiva, l’innato senso della geometria, la facilità nell’uso di ogni materiale a disposizione (…), dirigono le qualità e gli obiettivi di ‘riscatto’ del futuro pittore destinato a influire, dal dopoguerra in poi, sulla sensibilità del fare pittura e scultura nella scena artistica internazionale”, spiega il curatore Bruno Corà. La mostra a Lugano presenta diverse opere esemplari, dai cicli dei primi anni, alle Composizioni, ai Catrami degli anni 1948-1950 fino ai Sacchi, capolavori che portano l’arte di Burri verso una definitiva dimensione materica. Dopo le sperimentazioni con i materiali più diversi – dal catrame alla pietra pomice, dall’oro al gesso, e molti altri – l’artista inizia a impiegare il fuoco nell’azione formatrice dell’opera. In mostra, diverse opere, tra cui Plastica e Rosso Plastica, 1962, sono esiti di un incessante intervento compiuto dall’artista con in pugno l’erogatore di fiamma sulla tela, sulla plastica e il vinavil o sull’alluminio, mentre aggredisce e apre varchi, brucia zone centrali e orli, rivelando un territorio materico ignoto. Dopo il fuoco, con i celebri Cretti, Burri passa all’elaborazione degli altri cardini della dimensione della materia: terra, aria e acqua. Una nuova manifestazione di spazialità materica si manifesta in rare opere degli anni Settanta, come Bianco Nero Cretto, 1972, o nel Bianco Cretto C1, 1973. La mostra a Lugano si chiude con alcuni lavori in cellotex degli anni Ottanta e Novanta, quali Cellotex, 1980, e Nero e Oro, [1993]. Afono e opaco, il cellotex, composto ligneo usato in ambito industriale, è la materia che nelle mani di Burri arriva a visualizzare le dimensioni del silenzio, del buio, ma anche del vuoto, del pieno e dell’assenza, tutte nuove coordinate estetiche che influenzeranno alcune delle ricerche successive più avanzate. In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue (italiano-inglese) edito da Mousse Publishing con un’introduzione di Giancarlo e Danna Olgiati, i saggi storico-critico-scientifici di Gabriella Belli e Bruno Corà, una conversazione tra Gabriella Belli e Mario Botta, nonché gli apparati bio-bibliografici e le schede delle opere.


Collezione Giancarlo e Danna OlgiatiLa Permanente 2025 – 2026 La Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, aperta al pubblico nello spazio espositivo adiacente al centro culturale LAC, rinnova ogni anno le opere esposte attingendo dalla propria ricca Collezione che copre 120 anni di storia dell’arte a partire dai primi anni del Novecento ad oggi. La centralità della Collezione è focalizzata sull’arte italiana che guarda al resto del mondo. In concomitanza con la mostra “Prampolini Burri. Della Materia” verranno esposte nella parte dello spazio dedicata alla Collezione permanente opere molto significative degli artisti qui sotto elencati e nella sala conclusiva l’Archivio Futurista, che raccoglie 1200 titoli originali.

Carla AccardiGiovanni AnselmoTauba AuerbachGiacomo BallaAlighiero BoettiLouise BourgeoisPier Paolo CalzolariFrancesco ClementeEttore CollaPietro ConsagraRoberto CuoghiGino De DominicisFortunato DeperoPiero DorazioGerardo DottoriLatifa EchakhchLuciano FabroAntony GormleyMark GrotjahnWade GuytonRoni HornAnselm KieferJannis Kounellis

Alberto MagnelliConrad Marca-RelliMario MerzMarisa MerzReinhard MuchaGiulio PaoliniPino PascaliGiuseppe PenoneGianni PiacentinoMichelangelo PistolettoPietro RoccasalvaSalvatore ScarpittaArdengo SofficiEttore SpallettiRudolf StingelAntoni TàpiesTatiana TrouvéWolfgang TillmansAndy WarholFranz WestChristopher Wool



Informazioni 

Collezione Giancarlo e Danna Olgiati

Lungolago Riva Caccia 1, 6900 Lugano

T +41 (0)91 921 4632T+41 (0)91 9113040

info@collezioneolgiati.ch

www.collezioneolgiati.ch

www.masilugano.ch 

Orari:Giovedì - domenica: 11:00 – 18:00

Ingresso gratuito

Contatti Stampa MASI Lugano

Ufficio Comunicazione+41 (0)58 8664240

comunicazione@masilugano.ch 

Per l’Italia: ddl |arts|+battageAlessandra de Antonellis+39 339 3637388alessandra.deantonellis@ddlstudio.net Margherita Baleni+39 347 4452374margherita.baleni@battage.net

giovedì 17 luglio 2025

Fuori dai confini della realtà. Tra Klee, Chagall e Picasso

Fuori dai confini della realtà. Tra Klee, Chagall e Picasso è il titolo della nuova grande mostra ospitata dal 1 agosto 2025 all’11 gennaio 2026 ai Musei civici “Gian Giacomo Galletti” in Palazzo San Francesco a Domodossola. Protagonista sarà l’arte del Novecento che celebra il ribaltamento dei vincoli razionali, attraverso le opere di artisti straordinari come Pablo Picasso, Osvaldo Licini, Fausto Melotti, Paul Klee, Marc Chagall e Gastone Novelli.


La mostra è ideata e curata da Antonio D’Amico con la collaborazione di Stefano Papetti e Federico Troletti e promossa dal Comune di Domodossola, in partnership con la Fondazione Angela Paola Ruminelli e prodotta dal Museo Bagatti Valsecchi di Milano, con il patrocinio della Regione Piemonte e con il sostegno di Findomo S.r.l.

Il progetto espositivo esplora gli anni a cavallo tra le due guerre fino agli Sessanta, attraverso un nucleo di dipinti e opere d’arte applicata inedite che puntano a infrangere le regole imposte dalla razionalità per riscoprire una dimensione spirituale e liberatoria rispetto a ciò che è visibile e tangibile.

La mostra si inserisce all’interno della 5^ edizione dell’esposizione Italo Svizzera che sarà allestita dal 13 al 22 settembre 2025 proprio a Domodossola. Per la sua posizione strategica, la città è stata ed è tuttora un luogo di passaggio frequentatissimo da italiani e stranieri, grazie al valore storico e soprattutto commerciale, mantenuto per secoli negli scambi con le comunità presenti nelle vallate vicine.

Il confine tra Italia e Svizzera ha rappresentato sempre un terreno fertile e un luogo di incontro per molti artisti, come quelli esposti in mostra quali Paul Klee, Marc Chagall, Pablo Picasso, Fausto Melotti, Osvaldo Licini e Gastone Novelli. Da un lato la lunga tradizione culturale e artistica dell’Italia e dall’altro l’innovazione e lo sperimentalismo della Svizzera, hanno alimentato rapporti fruttuosi tra gli artisti, influenzando profondamente l’immaginario collettivo.

Paul Klee, nato nei pressi di Berna da padre tedesco e madre svizzera, rappresenta un esempio emblematico della connessione tra Italia e Svizzera, con la sua arte che risente fortemente dell’influenza della sua formazione nel paese d’Oltralpe. Anche Marc Chagall, pur essendo di origine russa, lasciò un segno indelebile in Svizzera, dove realizzò un ciclo di cinque vetrate nella chiesa di Fraumünster a Zurigo, testimoniando il suo legame spirituale e artistico con il territorio. E ancora Picasso, che si lascia affascinare dal Rinascimento italiano. La storia per ognuno di loro è fucina di nuove idee, consentendo la nascita di movimenti fondamentali come il Dadaismo e l’arte astratta.

Il titolo della mostra - Fuori dai confini della realtà – è emblematico e testimonia come questi artisti, insieme ad altri, hanno contribuito a liberare l’immagine dai significati quotidiani della realtà, riportandola a uno stato di purezza. I loro lavori, radicati in un contesto storico turbolento, si riallacciano alla tradizione europea ma, allo stesso tempo, aprono una porta verso il nuovo, attraverso un linguaggio che sfida la logica e la ragione.

Così accade nelle opere di ceramica sperimentale di Fausto Melotti, a Domodossola con una serie di Senza titolo e il Centauro realizzate nel secondo dopoguerra, come anche nelle due versioni di Bambini in ceramica invetriata che saranno in mostra. A Melotti si affiancano le opere in ceramica e vetro di Pablo Picasso, tra tutte in particolare il Furetto e il Satiro che rivelano la sua abilità nel manipolare la materia, il vetro e la ceramica, per sondare altri mondi che sono quelli della mente. Tra le opere in vetro merita particolare attenzione anche l’unica opera di Jean Cocteu, Tre occhi (1956).

Significativa in questa panoramica artistica è la presenza di Paul Klee con l’acquerello Baumgruppe del 1931 e di Marc Chagall, in mostra sia il suo Suonatore di violino che la Composition au cirque del 1976-77. E infine anche le opere pittoriche di Osvaldo Licini, come Angelo ribelle (1954), Amalassunta. mano piede (1954) e il ciclo dei Notturni (1956). Gastone Novelli sarà presente con una serie di opere che testimoniano l’interesse per un alfabeto fantastico che diventa la cifra stilistica di una pittura profondamente mentale.

La mostra, dunque, si pone l’obiettivo di riflettere sulla nascita di queste nuove forme artistiche che cavalcano il Novecento, immerse nell’immaginifico, nella fantasia, nel sogno, con un particolare focus sulle influenze degli artisti che hanno vissuto e operato tra Italia e Svizzera. Allo stesso tempo non si limita a esplorare il passato, ma si propone anche di riflettere sul futuro e su come l’irrazionale e la liberazione dell’immagine possano continuare a influenzare la nostra visione del mondo e della cultura contemporanea.

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale.



Egidio Costantini - Fucina degli Angeli, Il Furetto, 1954, vetro trasparente blu soffiato a mano, ED Gallery, Piacenza

sabato 5 luglio 2025

Borrowed Light

Dal 19 settembre al 2 novembre 2025 il MUDEC di Milano presenta con Deutsche Bank e in collaborazione con 24 ORE Cultura la mostra Borrowed Light dell’artista indiana Rohini Devasher, vincitrice nel 2024 del prestigioso premio internazionale “Artist of the Year” che la Banca dedica all’arte contemporanea. La mostra è a cura di Britta Färber, Global Head of Art & Culture di Deutsche Bank, e rappresenta la prima mostra personale dell’artista in una istituzione italiana.

Rohini Devasher, One Hundred Thousand Suns (still da video), 2023 

Video installazione a quattro canali, 25'17''  

© Courtesy l’artista e Gallery Wendi Norris, San Francisco

Per il quarto anno consecutivo il premio “Artist of the Year” torna al MUDEC di Milano consolidando la significativa collaborazione tra Deutsche Bank e 24 ORE Cultura nata nel 2022 e fondata su una comune attenzione verso i linguaggi e i temi del contemporaneo.

Per avvicinare un pubblico sempre più ampio ai principali temi e metodi della pratica artistica di Rohini Devasher, la mostra Borrowed Light è accompagnata da un ricco palinsesto culturale prodotto da Deutsche Bank e incentrato sui temi dell’osservazione e della percezione, che conta una serie di attività gratuite rivolte alle famiglie e al pubblico delle scuole secondarie di secondo grado e delle università, fra cui visite guidate interattive e laboratori esperienziali. Il programma culturale prenderà il via venerdì 19 settembre alle ore 18.30 nell’Auditorium del MUDEC con un Artist Talk in cui Rohini Devasher, in dialogo con la curatrice Britta Färber, condividerà con il pubblico gli aspetti più rilevanti del suo lavoro.

Dal 2010, ogni anno Deutsche Bank assegna il premio “Artist of the Year” ad artiste e artisti emergenti di tutto il mondo che creano opere di rilevanza anche sociale e sviluppano nuove prospettive sul presente. Anziché un premio in denaro, Deutsche Bank mette a disposizione degli Artists of the Year una piattaforma internazionale di visibilità, che comprende una mostra personale corredata da un catalogo e l’acquisizione di alcune opere per la Deutsche Bank Collection, una delle più importanti collezioni corporate a livello internazionale, nata nel 1980. La mostra personale dell’“Artist of the Year” inaugura tradizionalmente al PalaisPopulaire di Berlino, lo spazio di Deutsche Bank dedicato all’arte e alla cultura, per poi essere presentata in altre istituzioni nel mondo.

Per il 2024 l’“Artist of the Year” è Rohini Devasher (Nuova Delhi, 1978), prima artista indiana a ricevere questo riconoscimento, selezionata su proposta di Stephanie Rosenthal, Direttrice del Guggenheim Abu Dhabi Project. Astronoma amatoriale oltre che artista, da anni porta avanti una pratica di ricerca che esplora le intersezioni tra arte, scienza e filosofia, sviluppando progetti che mettono in dialogo cultura visiva, tecnologia e sapere scientifico. Grazie al suo approccio interdisciplinare e all’integrazione dei linguaggi dell’arte contemporanea nella vita quotidiana, le opere di Rohini Devasher si rivelano profondamente attuali, in piena sintonia con l’identità e i valori della collezione di Deutsche Bank.

Centrale nel suo lavoro è l’osservazione del cielo: un gesto antico e universale che Devasher indaga sia dal punto di vista scientifico – attraverso strumenti e dati – sia come esperienza culturale e filosofica, secondo una prospettiva radicata nella tradizione indiana.

Per realizzare le sue opere l’artista collabora con astronomi, fisici, osservatori internazionali e istituzioni scientifiche dove svolge anche residenze artistiche – le ultime nel 2023 al CERN di Ginevra, l’organizzazione europea per la ricerca nucleare, e all’International Centre for Theoretical Sciences (ICTS-TIFR) a Bangalore. Devasher non si interessa solo allo sguardo rivolto verso il cielo: è affascinata dalle narrazioni, dalle storie delle persone la cui vita è stata trasformata dal cielo stellato – anche attraverso più generazioni – oltre che dalle forme e le modalità di interazione che scaturiscono dalle loro osservazioni, dalle tecnologie e dagli strumenti utilizzati, dalle ideologie e dai miti che plasmano osservazioni e percezioni.

Questa lunga ricerca, insieme ai temi e alle domande che la animano, confluisce nella mostra Borrowed Light, che mette in primo piano il suo impegno di lunga durata nel campo dell’astronomia, dove la luce svolge un ruolo fondamentale non solo come fenomeno fisico ma come una vera e propria traccia visibile del tempo che scorre.

Non a caso il titolo prende spunto da un termine architettonico che indica la luce riflessa, o “presa in prestito”, da uno spazio adiacente per illuminare un ambiente altrimenti buio. Questa immagine diventa il punto di partenza per riflettere su alcuni temi centrali del lavoro dell’artista come l’impermanenza, la luce e il tempo, ma anche sulla conoscenza: su ciò che arriva a noi per riflesso da altre culture, epoche o strumenti.

Borrowed Light evoca anche una riflessione più ampia sulla prospettiva da cui osserviamo il cielo: ogni osservazione è situata, condizionata dal contesto geografico, culturale, linguistico e ideologico di chi guarda.

Per introdurre il pubblico a queste tematiche di natura sia filosofica che scientifica, il progetto espositivo si apre con una selezione di letture proposte da Devasher, accompagnate dall’ascolto dell’audio Reading the stars. Questo momento iniziale invita a immergersi nel pensiero dell’artista e offre una chiave d’accesso per l’intero percorso espositivo, che comprende installazioni video e opere a parete realizzate su carta e lastra di rame. L’allestimento è pensato per evocare lo spazio cosmico all’interno degli ambienti di MUDEC Photo: pareti scure e luce attenuata richiamano l’oscurità dell’universo, mentre un intervento murale site-specific collega visivamente le opere tra loro creando una sorta di costellazione visiva.

Al centro della mostra si trova l’installazione video One Hundred Thousand Suns del 2023, un’opera a quattro canali che si basa su oltre 150.000 immagini solari catturate in un secolo all’Osservatorio Solare di Kodaikanal, in India. Utilizzando materiali d’archivio, immagini NASA e dati personali, questo lavoro traccia l’evoluzione dell’osservazione solare, dalle prime macchie solari disegnate a mano su carta, alla fotografia su lastre di vetro e ai dataset dell’era spaziale, fino alle collezioni di dati raccolti dall’artista stessa.

L’opera mette in evidenza come il luogo, l’osservatore e i metodi di osservazione e raccolta possano generare molteplici interpretazioni del tempo, dei dati e della verità, mostrando inoltre come gli esseri umani abbiano impiegato strumenti in continua evoluzione per raccogliere e conservare dati astronomici – dall’osservazione visiva diretta a sofisticate tecnologie digitali.



Borrowed Light è così un “viaggio tra le stelle” che invita a riflettere sulla nostra connessione con i cieli e con ciò che si trova oltre, per immaginare un futuro comune fondato su solidarietà ed empatia. Non solo un’indagine sul cosmo, ma anche un’occasione per riscoprire l’osservazione come strumento collettivo e culturale, capace di ampliare i nostri orizzonti e cambiare la percezione del mondo, che si tratti di un’eclissi solare o del più piccolo filo d’erba.

Grazie alla collaborazione con Deutsche Bank per il progetto “Artist of the Year”, il MUDEC conferma ulteriormente il suo ruolo di spazio votato alla sperimentazione e ai linguaggi più innovativi, dove il pensiero e le pratiche di artisti tra i più importanti della scena contemporanea - come ad esempio La Chola Poblete, Maxwell Alexandre, Conny Maier, Zhang Xu Zhan e LuYang - hanno trovato massima espressione.

Nel corso degli anni Deutsche Bank ha assegnato il premio “Artist of the Year” a Wangechi Mutu (2010), Yto Barrada (2011), Roman Ondàk (2012), Imran Qureshi (2013), Victor Man (2014), Koki Tanaka (2015), Basim Magdy (2016), Kemang Wa Lehulere (2017), Caline Aoun (2018-2019), Maxwell Alexandre, Conny Maier e Zhang Xu Zhan (biennio 2020 – 2021), Lu Yang (2022), La Chola Poblete (2023) e Rohini Devasher (2024). Per il 2025 l’“Artist of the Year” è Charmaine Poh. 


INFORMAZIONI MOSTRA

“Deutsche Bank Artist of the Year” 2024

Borrowed Light – Rohini Devasher

MUDEC – Museo delle Culture di Milano 

19 settembre – 2 novembre 2025

Via Tortona 56, Milano


Orari

Lunedì 14.30 – 19.30

Martedì – mercoledì – venerdì – domenica 9.30 – 19.30

Giovedì – sabato 9.30 – 22.30

(ULTIMO INGRESSO UN’ORA PRIMA)

Ingresso libero


Sito

www.mudec.it

Info

Tel. 02/54917    


 


INFORMAZIONI STAMPA

Ufficio stampa mostra – ddl |arts|

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venerdì 13 giugno 2025

Matter Waves Unseen

Giuliana Cunéaz, esponente di punta della new media art che sabato 7 giugno ha vinto il Primo Premio del Pubblico dell'Opline Prize International, prestigioso riconoscimento dedicato all'arte digitale, è ora protagonista di un progetto espositivo di particolare significato.  Domenica 15 giugno alle ore 15.30 s'inaugura al MANLo il MuseoArcheologico Nazionale della Lomellina di Vigevano (che ha sede all'interno dello straordinario Castello Sforzesco). Wunderkammer Digitale, un progetto espositivo proposto sino al 15 dicembre che pone al centro la sua installazione Matter Waves Unseen


L'opera è entrata recentemente a far parte della collezione permanente del Museo nazionale dell'Arte Digitale di Milano che ha promosso numerose attività di valorizzazione in collaborazione con altri soggetti e luoghi della cultura, nell’ottica di stimolare l’interesse del pubblico nei confronti dell’arte digitale attraverso un’offerta culturale integrata ed innovativa. Dopo aver collaborato con Refik Anadol e i Masbedo, l'attuale progetto con Giuliana Cunéaz è dedicato al rapporto fra arte digitale e patrimonio storico e trova la sua collocazione in una delle più prestigiose istituzioni della Lombardia.

Matter Waves Unseen può essere letta come una vera e propria ‘camera delle meraviglie’ interpretata in chiave contemporanea. L’artista riprende la tradizione delle “wunderkammer”, raccolte di antichità e oggetti singolari, inserendo in uno stipo da collezionista piccole sculture di argilla dipinte (circa 30) in madreperla. Tra i cassetti è posizionato uno schermo al plasma nel quale scorrono le immagini realizzate con la tecnica dell’animazione 3D che mostrano onde di terra che, nel loro flusso, portano alla luce oggetti dalle forme differenti che poi vengono nuovamente inghiottiti in un processo magnetico di apparizione e sparizione. Questi elementi provenienti dal nanomondo sembrano depositarsi come forme germinali all’interno dei cassetti in una progressiva interazione che permette di scrutare l'aspetto profondo e misterioso della materia.

Interessata alle forme organiche dell’estremamente piccolo rilevate da strumenti scientifici come il microscopio elettronico, Giuliana Cunéaz ricostruisce un mondo che appartiene alla sfera dell’invisibile e ce lo mostra riflesso in una dimensione dove la componente fisica e quella virtuale sono tra loro connesse. Un'ambiguità dimostrata dalla presenza nei cassetti di un nido vuoto di vespa vasaia, ritrovato fortuitamente dall'artista che l'ha dipinto e collocato all’interno dell’opera.

Una relazione altrettanto fruttuosa si crea tra Matter Waves Unseen e i preziosi reperti del Museo Archeologico Nazionale della Lomellina, in particolare quelli appartenenti alla Collezione Strada, composta da oggetti in vetro,metallo e ceramica, prevalentemente di epoca romana e provenienti dal territorio.

Come scrive Pietro Mezzabotta nella scheda che accompagna l'opera di Giuliana Cunéaz: “La necessità di creare sinergie tra diversi elementi ha spinto l’artista a elaborare un linguaggio complesso, aggiungendo alla manualità la logica dell’algoritmo per creare una continuità tra il piano dell’indagine fisica e quello virtuale. La costruzione digitale delle forme, mostrata nel video, ha costituito il punto di partenza per il processo che ha portato all’elaborazione manuale delle sculture custodite nei 14 cassetti dello stipo. In questo modo, l’artista riafferma il ruolo del disegno come strumento astratto e inventivo, capace — attraverso reticolati digitali — di esprimere il suo valore originario nella rappresentazione della realtà e del mondo, anche quando immaginario.

Il progetto Wunderkammer Digitale di Giuliana Cunéaz presso il Museo Archeologico Nazionale della Lomellina nasce dall’accordo di valorizzazione fra la Direzione Regionale Musei Nazionali della Lombardia e il Museo nazionale dell’Arte digitale, che porterà ad arricchire l’offerta dei musei e dei luoghi della cultura lombardi con opere innovative e coinvolgenti, in dialogo con il patrimonio culturale.


Maria Chiara Salvanelli | Press Office & Communication

Maria Chiara Salvanelli | mob +39 333 4580190 – email: mariachiara@salvanelli.it  

mercoledì 4 giugno 2025

La Casa del Silenzio Imperfetto

La Casa del Silenzio Imperfetto - in esposizione fino al 31 agosto, nello storico e nobile Palazzo Pinto di Salerno, sede della Pinacoteca provinciale - intende sviluppare, attraverso una serie di frammenti espositivi, un percorso sull’arte dell’abitare, mettendo al centro di un mandala virtuale, fatto di oggetti, di opere e di architetture, la figura del collezionista, figura che nella società contemporanea ha affiancato, a volte superandole, le due personalità del curatore museale e dell’artista, a testimonianza di una passione che spesso sconfina in un voluttuoso desiderio di infinito. La mostra deve quindi la sua definizione all’affanno collezionistico della costruzione di un mondo che non trova mai fine, e che, al pari dell’opera di un autore, vive di un universo sempre incompleto.

Maurizio Barberis, L'irresistibile deriva dell'entropica figura, realizzato da Cianciullo Marmi  © Salerno Design Week

La mostra vuole affrontare queste tematiche partendo dall’assunto che l’imperfezione è la trama fondante di un discorso sull’arte di abitare, un dialogo costruito attraverso un itinerario di lettura che simula l’inquietudine del collezionista, grazie all’accumulo di frammenti testuali e visivi. Pittura, fotografia e scultura divengono così indispensabile complemento di un design piacevolmente complice di una scrittura peripatetica, priva di un centro definito, che riassume in sé le possibili ansie di un ‘infinito collezionistico’. Un pericoloso percorso di avvicinamento all’idea dell’habitat come forma d’arte assoluta, che vive indipendentemente dalla volontà del suo autore, grazie allo sguardo dell’altro, sguardo necessario ma spesso non condiviso.

La Casa del Silenzio Imperfetto viene intesa quindi come una particolare declinazione del modo di concepire gli interni domestici, vissuti nel loro insieme come un’opera d’arte totale. Si tratta di un’esposizione composta da una serie di luoghi disposti lungo un percorso che si dipana, virtualmente, nell’arco di una giornata.  Una serie di manifestazioni dell’anima della casa, ciascuna associata ad un’ora, ad una funzione, ad una materia, allo spirito di una dimora, quali: La Maison que j’habite, Sei Stanze per una Casa dal Silenzio Imperfetto, Dal Giardino delle Delizie di Hieronimus Bosh, Sette Pezzi Facili.

Gli autori in mostra sono:

Mark Anderson, Maurizio Barberis, Armando Bruno e Alberto Torres, Dorian X, Alfonso Femia, Cristina Fiorenza, Duccio Grassi, Francesca Grassi, Gianfranco Marabese, Ugo Marano, Daniele Menichini e Nicolas Turchi, Giulio Rigoni, Aldo Parisotto, Maurizio Peregalli, Steve Piccolo, Claudia Regge, Federico Spagnulo, Davide Valoppi, Alberto Vannetti, Carmelo Zappulla.


Le opere in mostra sono state realizzate grazie al contributo delle Aziende del Gruppo Design di Confindustria Salerno e - in particolare - alle aziende: AR.CE.A, Cianciullo Marmi, Fornace De Martino, Hebanon fratelli Basile 1830, Lamberti Design, MT Plex, Rinaldi Group, Saggese, Tekla e di Antonangeli, Julia Marmi, Q Lighting, Grassi Pietre, Zeus,

Imprese che rappresentano l’eccellenza nella lavorazione e nella finitura di materiali come legno, metallo, pietra, ceramica, marmo e in ambito illuminotecnico e che lavorano con un approccio sostenibile di valorizzazione dell’ambiente in cui operano.

La mostra è inserita nel palinsesto della Salerno Design Week 2025 il cui programma è curato da Giovanna Basile, Presidente del Gruppo Design/Tessile/Sistema casa, e Stefania Rinaldi, Vice Presidente con delega al Made in Italy, di Confindustria Salerno, con il supporto scientifico della Prof.ssa Vittoria Marino.


La casa del silenzio imperfetto

a cura di

Maurizio Barberis e Patrizia Catalano


Fino al 31 agosto 2025

Salerno

Pinacoteca Provinciale Palazzo Pinto


Maria Chiara Salvanelli | Press Office & Communication

cell + 39 3334580190 - mariachiara@salvanelli.it

mercoledì 21 maggio 2025

Artisti 5 + 1

La Galleria Arianna Sartori di Mantova, nella sala di via Ippolito Nievo 10, il prossimo Sabato 24 maggio alle ore 17.30, inaugura la mostra collettiva “ARTISTI 5+1”. Alle pareti sarà possibile ammirare i dipinti di Gianfranco "James" Azzoni Cerutti, Luisella Cottino, Regina Foresta, Andrea Giovanni Pimazzoni "Arte PAG", Stefano Rizzieri e al centro della sala saranno collocate alcune sculture dell’artista Laura Colombo. Curata da Arianna Sartori, l’esposizione, che presenta una selezione di opere di ciascun Artista invitato, resterà aperta al pubblico fino al 5 giugno 2025 con orario: dal Lunedì al Sabato 10.00-12.30 / 15.30-19.30, chiuso Domenica e festivi. 



Per informazioni: tel. 0376.324260, info@ariannasartori.eu


domenica 11 maggio 2025

Renato Paresce e Les italiens de Paris

Continua il viaggio attraverso la regione Marche della mostra Renato Paresce e Les italiens de Paris curata da Stefano De Rosa. Dopo una prima tappa dal 2 marzo al 4 maggio alla Casa Museo Osvaldo Licini di Monte Vidon Corrado (FM), dal 16 maggio al 14 settembre 2025 arriva a Palazzo Bisaccioni a Jesi (AN), sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi che organizza l’esposizione insieme al Centro Studi Osvaldo Licini e il Comune di Monte Vidon Corrado.

Renato Paresce, Paesaggio (veduta di Parigi), 1918

Il territorio marchigiano è il fil rouge che ha guidato la realizzazione di questa mostra, che ha visto lavorare in sinergia due istituzioni della Regione Marche molto attive sul piano culturale: il Centro Studi Osvaldo Licini che rappresenta la connessione tra il maestro Licini e Renato Paresce - che frequentarono entrambi il vivace ambiente artistico e culturale parigino nei primi decenni del ’900, e la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi che prosegue nella sua opera di valorizzazione e collaborazione con importanti collezioni pubbliche e private italiane, come in questo caso la raccolta privata marchigiana da cui sono state scelte con rigore, passione e competenza un nucleo di opere di Paresce insieme ad una sezione dedicata agli altri Italiens de Paris.

L’idea della mostra Renato Paresce e Les italiens de Paris prende spunto proprio dalla collettiva Les artistes italiens de Paris allestita nel 1928 al Salon de l’Escalier di Parigi, dove figuravano opere degli stessi Licini e Paresce, e poi di Giorgio De Chirico, Alberto Savinio, Mario Tozzi, Filippo de Pisis, Gino Severini, Massimo Campigli e altri. Da allora il gruppo – escluso Licini che non ne fece parte - fu presentato in diverse esposizioni, fino all’ultima, nel 1933, alla Galérie Charpentier di Parigi.

Il percorso espositivo vuole ricostruire la complessa parabola artistica di Paresce dal 1913 al 1931, nel contesto d’avanguardia francese, iniziata con l’adesione al post-impressionismo, maturata fino agli albori di una sintesi personale e tradotta poi in uno stile identitario.

La vita e la vicenda artistica di Renato Paresce (Carouge, 1886 – Parigi 1937) - che si firmava Renato come giornalista de La Stampa e René sulle opere pittoriche - sono emblematiche delle contraddizioni, delle inquietudini, dello sperimentalismo e dell’utopia di un periodo storico straordinario. Svizzero di nascita, figlio di un palermitano militante socialista e di madre russa, ha avuto una educazione ricca di suggestioni culturali, di viaggi in Europa e a Mosca, formandosi nella Firenze cosmopolita. L’identità intellettuale di Paresce è poliedrica: laureato in fisica, è stato giornalista, pittore autodidatta e attento al fermento artistico contemporaneo, critico d’arte. Nel 1912, dopo il matrimonio con Ella Klatchko, pianista ebrea russa, si trasferì a Parigi dove nacque la sua passione per la pittura, frequentando i celebri caffè parigini come il Dôme, La Rotonde e la Closerie des Lilas ed entrando così in contatto con Pablo Picasso, Sergej Djagilev, Max Jacob, Diego Rivera, Amedeo Modigliani e altri; poi dallo scoppio della Prima guerra mondiale al 1927 si stabilì a Londra e infine tornò nella capitale francese.

Dal 1926 la critica e le istituzioni culturali italiane iniziarono a coinvolgere gli artisti italiani esuli fra Parigi e Londra – e quindi anche Paresce - in un programma di promozione dell’arte nazionale. Margherita Sarfatti invitò il pittore alle mostre del gruppo del Novecento, mentre Maraini lo incaricò di allestire nel 1928 una sala della Biennale di Venezia dedicata all’Ecole de Paris (alla Biennale l’artista espose anche nel 1930, nel 1932 e 1934).

Il percorso di mostra inizia con Il barcone del 1913, che segna l’esordio parigino di Paresce, affascinato dalla pennellata impressionista, che si contamina con una costruttività della forma nel coevo dipinto Le Moulin de la Galette. Di matrice fauve sono i due paesaggi del 1917 mentre il curatore De Rosa sostiene che La veduta di Parigi del 1918 costituisce il punto più alto della sua produzione degli anni ‘10.

Paresce non ha coltivato molto il genere del ritratto, ma in mostra ne figurano ben due: uno evidentemente cézanniano del 1915 e Portrait Fauve del 1918.

Il secondo decennio del ‘900 è il periodo più presente tra le opere esposta, quello di definitivo allontanamento dall’esperienza fauve, del confronto con il cubismo, della nascita di una poetica propria. In questa sezione figurano sette nature morte e due paesaggi che testimoniano l’incontro dialettico fra la modernità caparbiamente inseguita e la tradizione.  La gouache del 1928 è l’annuncio di una nuova fase, la più conosciuta e celebrata dell’artista, quella delle Biennali veneziane e delle mostre con il gruppo degli Italiens de Paris.

Il terzo decennio si apre con Composizione con statua del 1930, incunabolo di quella produzione caratterizzata da atmosfere rarefatte, stranianti, rese su una superficie pittorica gessosa che ricorda l’affresco, in cui compaiono sculture antiche, manichini, interni vuoti solitari. Ha un’aura misteriosa, magica il paesaggio marino La Comètedel 1931 che chiude il percorso dedicato a Renato Paresce.

La mostra comprende anche un nucleo di opere degli Italiens de Paris tra le quali emergono per particolare bellezza un Ritratto di signora di De Chirico del 1921, un Ritratto di Marina Severini di Gino Severini, databile alla fine degli anni trenta e un Capriccio metafisico di De Pisis del 1918-20.



La Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi con il Centro Studi Osvaldo Licini e il Comune di Monte Vidon Corrado presentano la mostra


RENATO PARESCE E LES ITALIENS DE PARIS

a cura di Stefano De Rosa


16 maggio – 14 settembre 2025

Jesi (AN), Palazzo Bisaccioni


INAUGURAZIONE 16 MAGGIO ORE 18



Maria Chiara Salvanelli | Press Office & Communication

Maria Chiara Salvanelli | Email mariachiara@salvanelli.it - Cell +39 3334580190

Maria Grazia Fantini | Email mariagrazia@salvanelli.it - Cell +39 3485444533